Morte del padre: risarcimento ridotto per il figlio concepito ma ancora non nato
Decisivo il riferimento alla mancanza della convivenza e alla mancata frequentazione tra la vittima ed il genitore

A fronte della tragica morte del genitore, va riconosciuto un risarcimento ridotto al figlio concepito ma ancora non nato, poiché, rispetto a fratelli e sorelle già viventi, manca il dettaglio della convivenza.
Questo il punto fermo fissato dai giudici (ordinanza numero 9259 dell’8 aprile 2025 della Cassazione), i quali, chiamati a prendere in esame la drammatica vicenda vissuta da una famiglia, precisano che, nella liquidazione del danno non patrimoniale da morte di un congiunto, la maggiorazione del punteggio tabellare per convivenza con il de cuius non può essere riconosciuta al figlio concepito ma non ancora nato al momento del decesso, in quanto tale maggiorazione presuppone l’effettività e la stabilizzazione del legame affettivo derivante dalla convivenza, elementi che difettano rispetto alla posizione del nascituro.
A dare origine al contenzioso è la morte di un uomo, coinvolto in un incidente stradale mentre era alla guida della propria vettura.
A presentare istanza risarcitoria è la moglie, ovviamente anche in rappresentanza dei tre figli minorenni.
Per i giudici d’Appello è necessario, nell’ottica della quantificazione del risarcimento in favore dei figli dell’uomo, tenere presente che due di loro avevano, all’epoca dei fatti, 7 anni e 5 anni: perciò viene attribuito loro il punteggio massimo, tenendo conto anche della convivenza con il defunto padre. Per la terza figlia, che all’epoca del tragico incidente non era ancora nata, non è applicabile il punteggio massimo, non potendo riconoscersi a lei i punti aggiuntivi previsti per la convivenza con il de cuius.
Tale valutazione presenta una propria coerenza interna, secondo i giudici di Cassazione, poiché la tabella applicata prevede che il punteggio possa essere aumentato di quattro punti in caso di convivenza e tale più consistente gravità del danno parentale è ancorata ad evidenti ragioni di maggiore compromissione della posizione della vittima secondaria dell’illecito, derivanti da stabilizzazione e effettività del legame affettivo con la vittima primaria dell’illecito.
In sostanza, la convivenza tra la vittima ed il congiunto superstite costituisce un parametro assolutamente ragionevole, dovendosi presumere che il danno sarà tanto maggiore quanto più costante e assidua è stata la frequentazione tra la vittima ed il superstite. Tali elementi difettano rispetto alla posizione della figlia non ancora nata all’epoca della morte del padre.