‘Area cani’: confermati gli obblighi di custodia del padrone nei confronti di ‘Fido’

Esemplare la decisione con cui i giudici hanno certificato la responsabilità penale di una donna, colpevole di avere dato troppa libertà, all’interno di una ‘area cani’, al proprio pitbull, che ha perciò potuto aggredire un uomo, a spasso anch’egli in quell’area col proprio quadrupede

‘Area cani’: confermati gli obblighi di custodia del padrone nei confronti di ‘Fido’

All’interno della ‘area cani’ non si attenuano gli obblighi di custodia del padrone nei confronti del suo amico a quattro zampe. Questo il principio applicato dai giudici (sentenza numero 9620 del 10 marzo 2025 della Cassazione) per certificare la responsabilità penale di una donna, colpevole di avere dato troppa libertà, all’interno di una ‘area cani’, al proprio pitbull, che ha perciò potuto aggredire un uomo, a spasso anch’egli in quell’area col proprio quadrupede.
Il fattaccio risale al settembre del 2021 e si verifica in una ‘area cani’ della Capitale. Ricostruito nei dettagli l’episodio: un pitbull, ha aggredito e morso, senza che la padrona intervenisse in alcun modo, un uomo presente nel piccolo parco assieme al proprio amico a quattro zampe.
Per i giudici di merito non ci sono dubbi: la donna va ritenuta colpevole di lesioni personali colpose a fronte dei danni provocati dal suo pitbull all’uomo, che ha subito un morso e ha riportato ferite multiple e sospetta frattura composta della falange intermedia del quinto raggio della mano destra.
A fronte delle lesioni, giudicate guaribili in quindici giorni, riportate dall’uomo, per i giudici sono evidenti le colpe della donna, la quale, quale proprietaria del cane pitbull, non ha adottato, per imprudenza, imperizia e negligenza, misure idonee, quali assicurarlo al guinzaglio, atte a impedire che l’animale, lasciato libero di circolare all’interno della ‘area cani’, nonostante fosse diffidente con le persone, mordesse l’uomo, presente nella struttura assieme al proprio cucciolo di piccola taglia.
Per la difesa, però, la visione adottata in primo e in secondo grado è palesemente erronea, soprattutto perché non tiene conto di quanto previsto dal regolamento comunale, risalente all’ottobre del 2005, secondo cui i cani possono, nelle aree appositamente attrezzate, essere condotti senza guinzaglio e senza museruola, mentre guinzaglio e museruola devono essere adottati per i cani di indole aggressiva. Da ciò deriva che nessun obbligo giuridico è configurabile a carico della proprietaria del pitbull, non essendo certificato che il cane potesse essere definito ex ante come aggressivo, né potendo estendersi le limitazioni previste per gli animali aggressivi a quelli descritti come diffidenti, come il pittbull della donna, per l’appunto.
In aggiunta, poi, la difesa ricorda che nel marzo del 2009 è stata abrogata la lista delle razze pericolose mentre è stato istituito un registro dei cani aggressivi tenuto presso le Aziende Sanitarie Locali a cura dei ‘servizi veterinari’ sulla base delle condizioni psico-fisiche del singolo animale. Da ciò deriva che l’identificazione di un cane di indole aggressiva non può dipendere dalla razza.
Evidente, quindi, secondo la difesa, l’errore compiuto dai giudici di merito, i quali hanno desunto a carico della donna l’obbligo di tenere il cane al guinzaglio dal fatto di essere esso di razza rinomatamente aggressiva.
Per i magistrati di Cassazione, però, le obiezioni difensive sono fragilissime e assolutamente inadeguate a mettere in dubbio la responsabilità penale attribuita alla padrona del pitbull
In premessa, viene chiarito che la natura colposa della condotta tenuta dalla donna è da ricondurre all’inosservanza di norme cautelari afferenti al governo e alla conduzione dei cani, volte a prevenire, neutralizzare o ridurre i rischi per la pubblica incolumità, specificamente declinate in relazione alle potenzialità lesive dell’animale. Inevitabile anche il richiamo alla norma che sanziona a livello amministrativo l’incauta custodia di animali e che positivizza il generale dovere di diligenza e prudenza che l’ordinamento pone in capo a chiunque abbia il dominio di un animale dotato di capacità lesiva, sancendo l’assunzione di una posizione di garanzia rispetto alla possibilità del verificarsi di eventi dannosi, corredata da una serie di obblighi, divieti e modelli comportamentali la cui violazione determina responsabilità giuridica a vari livelli (amministrativo, civile e penale).
Analizzando la specifica vicenda, va addebitato alla donna, secondo i magistrati, di non aver vigilato con la richiesta attenzione sul proprio cane», e in questo discorso il riferimento alla razza del quadrupede è solo per evidenziare che si tratta di cani che impongono un onere di custodia e vigilanza accentuato.
Evidente, poi, la violazione di regole di generica prudenza, considerando che, in presenza di un altro animale nell’area di sgambamento, nonché del relativo accompagnatore, la proprietaria del pitbull avrebbe dovuto fronteggiare la situazione con maggiore cura e cautela attuando una vigilanza stretta e una presenza dominante sul cane. Invece, la donna ha lasciato il proprio cane libero di circolare all’interno della ‘area cani’ nonostante si trattasse di un animale di indole da lei stessa definita ‘diffidente’ e nonostante un estraneo avesse manifestato l’intento di avvicinarsi e accarezzarlo.
Per quanto concerne, poi, la generale tutela della pubblica incolumità dalla possibile aggressione da parte di cani, la disciplina normativa fissa paletti precisi: il proprietario di un cane è sempre responsabile del benessere, del controllo e della conduzione dell’animale e risponde, sia civilmente che penalmente, dei danni o lesioni a persone, animali o cose provocati dall’animale stesso. Chiunque, a qualsiasi titolo, accetti di detenere un cane non di sua proprietà, ne assume la responsabilità per il relativo periodo. Ai fini della prevenzione di danni o lesioni a persone, animali o cose, il proprietario e il detentore di un cane adottano le seguenti misure: utilizzare sempre il guinzaglio a una misura non superiore a un metro e cinquanta centimetri durante la conduzione dell’animale nelle aree urbane e nei luoghi aperti al pubblico, fatte salve le aree per cani individuate dai Comuni; portare con sé una museruola, rigida o morbida, da applicare al cane in caso di rischio per l’incolumità di persone o animali o su richiesta delle autorità competenti; affidare il cane a persone in grado di gestirlo correttamente; acquisire un cane assumendo informazioni sulle sue caratteristiche fisiche ed etologiche nonché sulle norme in vigore; assicurare che il cane abbia un comportamento adeguato alle specifiche esigenze di convivenza con persone e animali rispetto al contesto in cui vive.
In sostanza, il testo normativo specifica quali siano i principali obblighi cautelari che incombono sul custode di un cane e, come si desume dal tenore letterale della disposizione, non limita tali obblighi all’utilizzo del guinzaglio o della museruola. Difatti, non a caso, nella vicenda oggetto del processo, la regola di generica prudenza violata è stata desunta dal fatto che la proprietaria del cane fosse ex ante consapevole dell’indole diffidente del cane ma, ciò nonostante, ella ha omesso di adottare qualsivoglia cautela all’arrivo della persona offesa con il suo cane di piccola taglia all’interno dell’area di sgambamento. E tale imprudenza è ritenuta tanto più grave in quanto «la persona offesa si era avvicinata imprudentemente al pitbull, tendendo le braccia, in una situazione in cui il comportamento del cane non poteva considerarsi imprevedibile.
In sostanza, la donna, proprio perché conscia del carattere diffidente del proprio animale e della sua potenzialità lesiva, avrebbe dovuto prevedere e prevenire la reazione del pitbull ponendogli la museruola o attestandosi quanto meno a una distanza ravvicinata, in modo da intervenire immediatamente e bloccarlo in caso di aggressione.
Tirando le somme, la culpa in vigilando della proprietaria del cane è stata correttamente identificata quale violazione di una regola cautelare non positivizzata ma desumibile da una massima di esperienza, legata non tanto alla razza del cane quanto piuttosto alla eventualità che un cane diffidente reagisca in maniera aggressiva all’avvicinamento di terzi estranei, chiosano i magistrati di Cassazione.

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