Concordato minore: niente omologazione per il debitore che ha scientemente trascurato i crediti vantati dall’Erario
Presa in esame la delicata posizione del titolare di una impresa individuale messa in crisi anche dalla pandemia. Evidente l’abuso compiuto pagando esclusivamente tutti i creditori non pubblici, evitando però di versare le imposte dovute e accumulando così un consistente debito nei confronti dell’Erario

Niente omologazione del concordato minore quando emerge che nel corso del tempo il soggetto indebitato abbia soddisfatto tutti i propri creditori non pubblici (fornitori, banche dipendenti), trascurando scientemente l’Erario.
Questa la presa di posizione dei giudici (sentenza del 23 luglio 2025 della Corte d’Appello di Genova), i quali hanno accolto le obiezioni sollevate dall’Agenzia delle Entrate a fronte del concordato minore in prosecuzione riconosciuto al titolare di una impresa individuale messa in crisi anche dalla pandemia e gravata, tra l’altro, da oltre 220mila euro di debiti nei confronti del Fisco.
Decisivi, secondo i giudici, due dettagli: da un alto, la genesi del debito verso l’Erario, e, dall’altro, la circostanza che nel corso del tempo la debitrice ha soddisfatto tutti i propri creditori non pubblici (fornitori, banche dipendenti), trascurando consapevolmente l’Erario, che, anche secondo quanto indicato dalla relazione dell’organismo di composizione della crisi è stato pagato solo in misura assai ridotta. Nello specifico, il debito tributario è stato in un primo tempo rateizzato, ma i versamenti non sono stati rispettati con decadenza dalla rateizzazione, e poi non è stato onorato e, infine solo nell’ultimo periodo, dal 2022 risultano pagamenti, però finalizzati, secondo l’Agenzia delle Entrate, ad evitare procedure di esecuzione.
Prive di consistenza, invece, le giustificazioni addotte dalla piccola imprenditrice, anche perché le cause della genesi del sovraindebitamento evidenziano una sua scarsa diligenza nell’assumere le obbligazioni connesse all’attività svolta, giacché il pagamento delle imposte si colloca tra i doveri propri di una attività commerciale, sottolineano i giudici.
A fronte di tale quadro, i giudici richiamano quanto previsto dal ‘Codice della crisi d’impresa’, laddove, in particolare, dispone che la domanda di concordato minore vada ritenuta inammissibile nel caso in cui il debitore abbia posto in essere atti diretti a frodare le ragioni dei creditori. Ragionando in questa ottica, è evidente l’abuso compiuto dalla titolare della ditta individuale, abuso consistito nel pagare sempre tutti i creditori non pubblici, evitando però di versare le imposte dovute, accumulando così un consistente debito nei confronti dell’Erario.
Su questo fronte, poi, i giudici aggiungono un’ulteriore considerazione: la circostanza che per il concordato minore, a differenza della ristrutturazione del debito consumeristico e dell’esdebitazione dopo la liquidazione controllata, non sia espressamente prevista una puntuale valutazione sulla meritevolezza del soggetto indebitato, non esclude la necessità di verificare che il debitore non abbia aggravato la crisi scientemente o con condotte gravemente colpose, operando senza buonafede e trasparenza. Perciò, l’organismo di composizione della crisi ha un compito preciso: indicare se il debitore abbia agito con diligenza nell’assumere le obbligazioni e precisare se abbia commesso atti in frode.
Di conseguenza, una meritevolezza, in senso lato, del debitore si deve ritenere inesistente ogni volta che egli abbia assunto obbligazioni senza la ragionevole prospettiva di poterle adempiere.